14 dicembre 2008

NELLA TANA DELLA VOLPE: Buddy Fox incontra... Alberto Bisin Professore alla New York University


Dopo una lunga gestazione, ecco finalmente il parto. L'attesa dovrebbe essere premiata, l'ospite è illustre, un gran colpo per questo mini blog, il contenuto dell'intervista? Bhe, qui tocca a voi giudicare. Il professore Alberto Bisin è uno degli autori del popolarissimo sito noiseFromAmeriKa (per avere maggiori informazioni sulla persona e sul sito in questione, cliccate qui). In questa intervista abbiamo cercato di approfondire i temi della crisi e l'evoluzione economica. Spero sia di semplice compresione, e che possa aiutarvi nel capire meglio quanto è accaduto e cosa potrebbe accadere. Buona lettura e... alla prossima!
1) Dalla scoppio della Bolla Internet 2000 si è paventato fino alla noia che gli Stati Uniti fossero preda della Sindrome Giapponese 1989, e della temibile deflazione. Così non è stato. Oggi, in questa nuova crisi, la fantasia corre fino al 1929. Invece di rincorrere il terrore, non le sembra che sia proprio questa la crisi che più si avvicina all'ostile "Sindrome Giapponese" e che questa situazione (e non quella del 2000) abbia fin troppe analogie con la bolla del 1989?
Assolutamente. Dopo una severa bolla immobiliare, all'inizio degli anni 90, il Giappone è entrato in profonda recessione. Ma quello che maggiormente spaventa della crisi Giapponese è la sua anomala durata. Per tutto il "decennio perduto", dal 1991 al 2001, il Giappone e' cresciuto in media al 0,72%, un crollo rispetto al ritmo di crescita cui il paese era abituato (3% dal 1973 al 1991, 8% dal 1955 al 1973).
Le cause della mancata crescita nell'esperienza giapponese sono oggi ben comprese. La Banca del Giappone ha ridotto i tassi di interesse essenzialmente fino a zero e ha pompato grandi quantità di moneta nel sistema. Anche la politica fiscale del paese si è mantenuta estremamente espansiva. Perchè queste politiche espansive classiche non hanno funzionato? La visione classica, "idraulica", della politica economica come un sistema di leve che qualora azionate producono effetti su reddito, consumo, e investimenti, è incorretta. Nel caso del Giappone, aspettative deflazionistiche hanno reso bassi tassi di interesse ed elevata liquidità completamente inefficaci: banche ed imprese, aspettando prezzi decrescenti, hanno drenato moneta dal sistema, ritardando gli investimenti e deprimendo l'attività economica. Inoltre politiche fiscali espansive, specie in paesi ad elevato indebitamento, hanno effetti ridotti perche' generano aspettative di alte tasse in futuro.
Le politiche economiche anti-congiunturali sono spesso di limitata efficacia, e così è stato in Giappone nel corso degli anni 90. Ma la durata della crisi ha alla sua radice una causa reale: il crollo del tasso di crescita della produttività. Fumio Hayashi e Ed Prescott hanno calcolato che nel periodo 1991-2000 la produttività totale dei fattori in Giappone è cresciuta ad un tasso di circa l'1.7% in meno rispetto al trend. Due sono i fattori che hanno maggiormente contribuito alla scarsa crescita della produttività: la riduzione dell'orario di lavoro di 4 ore settimanali a partire dal 1988 e l'incapacità del sistema finanziario di allocare il risparmio verso gli investimenti più produttivi. Questa incapacità, in particolare, è stata il risultato di un sistema finanziario troppo legato al settore pubblico, che non gli ha imposto la necessaria ricapitalizzazione dopo la crisi.
Può succedere tutto questo negli Stati Uniti? Il sistema finanziario americano è tradizionalmente molto più indipendente dal settore pubblico di quello giapponese. Purtroppo però i recenti interventi della Fed e del Tesoro sono parsi prevalentemente atti a salvaguardare il sistema finanziario. La ricapitalizzazione delle banche è avvenuta a spese dei contribuenti, senza che le autorità richiedessero alle istituzioni finanziarie quella necessaria maggiore trasparenza nei bilanci. Il rischio è quindi che le banche americane, come quelle giapponesi negli anni 90, ritardino a liberarsi di crediti inesigibili e altre passività, a difesa dei propri azionisti ma con effetti disastrosi sull'economia nel suo complesso.


2) Gli USA hanno vissuto gli ultimi anni al di sopra dei loro mezzi, raggiungendo un tasso di risparmio negativo. La famosa tesi del "calabrone", per conformazione non potrebbe volare, così il consumatore USA nonostante i debiti continua a spendere. Non crede che quella di oggi, più che una catastrofe sia l'occasione per ripulire il sistema? In fondo non è questo l'effetto benefico di ogni recessione?
Io tendo a essere d'accordo. Il consumo in prima approssimazione è funzione diretta della ricchezza. Gli americani hanno visto la loro ricchezza in immobili crollare del 20% (e non è finita) e la loro ricchezza in azioni del 40% (e speriamo che sia finita). Riaggiusteranno i consumi, e questo è bene. Che le recessioni in generale siano occasioni di pulizia (gli economisti riferiscono a questo come il "cleansing effect of recessions") è vero ma, credo, solo in parte. Ricardo Caballero, ad MIT, con vari coautori ha guardato ai dati su creazione e distruzione di posti di lavoro, per unità produttiva, e ha documentato notevoli tassi di "distruzione" anche in fasi di boom. In realtà la distruzione è pro-ciclica invece che anti-ciclica.

3) La terza domanda è tradizionalmente dedicata alle previsioni. Sebbene dell'attuale crisi non si conosca ancora l'entità e la possibile durata, sono in molti a considerare le attuali quotazioni un'occasione storica di acquisto. Lo stesso Warren Buffet si è lanciato in uno shopping di inaudita audacia con tanto di megagono. La "Teoria di Graham" (che di Buffet è proprio l'ispiratore) non considera le attuali quotazioni come storicamente basse. Tale indicatore si ottiene dividendo il prezzo delle principali azioni USA per la media dei loro profitti netti dei precedenti 10 anni, corretti per l'inflazione. Per raggiungere un livello oggettivamente basso, il Dow Jones dovrebbe scendere fino a 6000, per raggiungere il minimo storico, il Dow dovrebbe arrivare adirittura a 4000. Le sembra esagerato? D'altronde solo pochi anni fa, ci fu chi pubblicò un libro titolato "Dow 36000".
La domanda dedicata alle previsioni e quella a cui tradizionalmente è meglio non rispondere. E a questa tradizione mi atterrò con piacere. Mi sia permesso però notare che questi "indicatori" sono quello contro cui gli economisti predicano da decenni. Nulla sostituisce la seria analisi empirica, nemmeno decine di "indicatori" tutti assieme. E ogni tanto bisogna saper accettare che non si hanno informazioni sufficienti per prevedere. Questo in finanza succede sempre: le uniche previsioni che si possono fare sono quelle inutili, a meno di "insider trading". E' così non per caso, ma perchè le previsioni sono fatte ogni giorno con tale intensità che sono riflesse nei prezzi.

Pubblicato da Buddy Fox | Blog friends: leggi anche Fuorimercato

Nessun commento: